Coi dazi di Donald Trump arriverà la recessione anche in Italia, la previsione è drammatica: "Una catastrofe"
Barbara Martini, ricercatrice di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata, e la sua previsione nefasta su dazi e conseguenze per l'Italia
Inizia l’era dei dazi. Donald Trump scuote l’Europa e il mondo tutto con le nuove tariffe nel giorno del cosiddetto Liberation Day. “Questo renderà l’America più grande che mai”, ha dichiarato il presidente Usa dal Giardino delle Rose della Casa Bianca, scatenando immediate reazioni internazionali. Secondo gli esperti ci saranno conseguenze. Barbara Martini, ricercatrice in Politica Economica all’Università degli Studi di Roma TorVergata, sostiene che sarà una “catastrofe. Gli economisti, e ci hanno preso un premio Nobel negli anni ‘60, parte dall’idea che l’assenza di dazi sia la migliore situazione possibile: dicono chiaramente che sono un male“.
- Le reazioni ai dazi di Donald Trump, Borse a picco
- Giù anche Wall Street negli Usa
- Giorgia Meloni annulla tutti gli appuntamenti
- L'intervista a Barbara Martini
Le reazioni ai dazi di Donald Trump, Borse a picco
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che “i dazi creeranno il caos” e che siamo nel pieno della tempesta: colpire uno significa colpire tutti. Siamo pronti a rispondere. I negoziati sono ancora possibili, ma l’Europa ha gli strumenti per affrontare questa crisi”.
Le ha fatto eco il premier del Canada, Mark Carney, che ha parlato di reazione “forte” all’iniziativa americana.
Fonte foto: ANSA
Nel frattempo, i mercati in Europa e Asia aprono in netto calo e continuano a scambiare in territorio negativo.
Robert Habeck, ministro dell’Economia tedesco, paragona l’impatto dei dazi a quello dell’invasione della Russia in Ucraina: “Si tratta degli aumenti tariffari più destabilizzanti degli ultimi 90 anni”, ha dichiarato, prima di aggiungere che per questo serve una reazione compatta e decisa, proprio come nel caso dell’aggressione.
Giù anche Wall Street negli Usa
Washington ha rilanciato col segretario al Tesoro, Scott Bessent, che ha esortato i Paesi colpiti a non rispondere, perché questo potrebbe “aggravare” il conflitto commerciale.
Nel day after, l’annuncio di Trump ha scatenato il panico sui mercati finanziari, compreso quello di Wall Street: crollati i future e titoli-colossi come Apple e Nike.
Giorgia Meloni annulla tutti gli appuntamenti
Panico e cataclisma? In Italia la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, decide in mattinata di annullare tutti i suoi impegni previsti oggi in agenda per un vertiche coi ministri economici.
Il focus, fa sapere palazzo Chigi, è sulle azioni da portare avanti rispetto ai dazi americani e ai loro effetti.
La preoccupazione è elevata: secondo Pierpaolo Bombardieri, segretario generale della UIL, questa “scelta sbagliata” mette a rischio in Italia almeno “60 mila posti di lavoro”.
L’intervista a Barbara Martini
Perché i dazi secondo la teoria economica sono un male?
“Perché di fatto creano una barriera all’ingresso di un determinato paese. E creano inefficienze dal punto di vista economico. Quindi i dazi vengono considerati male per l’economia”.
Se i dazi sono un male, perché Donald Trump ha intrapreso questa strada? E quali sono le conseguenze?
“Siccome dai dazi si ricevono una serie di introiti, perché equivalgono sostanzialmente a una tassa che viene introiettata dallo stato, il ragionamento di Trump sembra essere: gli Stati Uniti hanno un grosso debito, intanto prendiamo i soldi da qui, dai dazi. Trump sostiene di voler riportare le produzioni nel proprio paese, quindi creare lì ricchezza. Ha fatto vedere l’operaio di Detroit, ricordato che da quando è andata via la Ford è diventata una città fantastica. Vuole che la Ford torni a fare le macchine a Detroit anziché in Polonia. Il ragionamento è: “Riporto le produzioni, creo ricchezza nel mio paese e quindi più occupazione e lavoro”. E questo è il ragionamento che Trump sta facendo”.
Ha senso?
“No. Prima di tutto perché la Ford negli Stati Uniti ha fallito. La teoria economica insegna che l’allocazione dei fattori produttivi avviene sulla base di come vengono remunerati. Se è più economico produrre le macchine in Polonia rispetto agli Stati Uniti, perché il costo del lavoro negli Stati Uniti è più elevato, è chiaro che la produzione più labor-intensive, cioè a maggiore intensità di lavoro, si sposterà nei paesi in cui il lavoro costa meno. Il bene prodotto costerà meno. Andiamo a produrre in Cina, Bangladesh, Vietnam perché produzioni ad alta intensità di lavoro costano meno. Con il dazio, però, chiaramente si alza il prezzo dell’oggetto prodotto a poco prezzo in Cina. Una collanina cinese da 10 euro costerà 50. E allora comprerò dal produttore italiano. Favorendo il produttore locale ma penalizzando il consumatore. Si ricomincerà magari a produrre localmente come spera Trump, ma l’economia globale si basa pure sulla competitività. I pannelli solari – o le auto elettriche – vengono prodotti in modo più efficiente in Cina, per esempio. Un consumatore che si trovi a comprare da un produttore americano si troverà comunque di fronte un prodotto a un prezzo più elevato che magari è meno efficiente. Quindi chi consuma può essere svantaggiato e con questo sistema dei dazi si rischia di proteggere i produttori inefficienti a questo punto. Un po’ come quando davamo i sussidi ad Alitalia e Alitalia non riusciva a stare sul mercato perché era inefficiente rispetto ad altre compagnie. E poi c’è il problema di quella che noi chiamiamo la Global Value Chain”.
Ovvero?
“Le catene globali del valore. Non è vero che la produzione può essere fatta tutta negli Stati Uniti, tutta in Europa, tutta in Cina. Lo abbiamo scoperto ai tempi del Covid no? Un esempio per tutti: la scocca dell’iPhone viene prodotta a Hong Kong, in Cina, a Taiwan. Se Apple deve riportare la produzione negli Stati Uniti quanto le costa? Negli Usa, ricordiamolo, c’è il salario minimo. Un tema non di poco conto: lo dimostrano le quotazioni di Apple sui mercati in queste ore. Aprire una fabbrica poi non è certamente come accendere e spegnere un interruttore. Mettere su un impianto produttivo vuol dire organizzare una complessa macchina, materie prime, logistica. Una serie di elementi si sono interrelati nell’ambito dell’economia mondiale: il sistema trova un suo equilibrio, ma per adeguarsi ci vuole tempo”.
Quali sono le principali conseguenze a breve e nel lungo termine per un’economia come quella italiana?
“Gli Stati Uniti sono un partner commerciale importante per l’Italia, che vi esporta cibo e lusso. Secondo me il ragionamento dipende molto da quella che tecnicamente chiamiamo elasticità della domanda. La seconda voce, quella del lusso, verrà a mio avviso toccata relativamente: pagare una borsa griffata 3 mila o 3500 euro, a quel tipo di acquirente, cambia poco. Sul cibo invece il nostro export negli Stati Uniti sicuramente verrà danneggiato: il consumatore medio si rivolgerà a prodotti più locali, questo è indubbio. Pensiamo al vino, all’agro alimentare. L’economia italiana sentirà il contraccolpo, forte e chiaro. Ci sarà una ripercussione, almeno iniziale: lo dicono forte e chiaro le associazioni, che registrano ora i blocchi della domanda: chi doveva comprare ha già comprato, dopodiché gli ordini si sono bloccati. Il costo aumenta del 20% e non vi è certezza di allocare quei prodotti. Non solo: oggi il dollaro è crollato. Questo vuol dire una ripercussione sul turismo, perché se il dollaro decresce chiaramente vuol dire che comprare l’euro diventa più caro e l’Europa diventa più cara rispetto agli Stati Uniti: è possibile quindi una riduzione del turismo. Insomma, a mio avviso è una catastrofe. C’è un World Trade Organization che aveva delle regole, eravamo in un contesto di regolamentazione del commercio internazionale, non era un commercio selvaggio, e nell’ambito delle regole l’economia funzionava. Ecco: si potevano ridiscutere le regole, ma gesti così violenti andavano evitati. Né francamente ho ben capito da dove Trump abbia preso i numeri che ha dato: negli Stati Uniti ci sono le migliori università del mondo, ma quello schema e quei calcoli sono certa che non venissero dai colleghi e dalle colleghe di Harvard, ecco”.
E l’Europa? Lo scambio commerciale italiano è principalmente con i paesi del Vecchio Continente, ma se anche l’Europa va in sofferenza ci possiamo aspettare un effetto a catena?
“Sì. E non solo l’Europa: siccome siamo tutti interrelati, i dazi Usa manderanno in sofferenza la Cina e anche quello per noi è un mercato di sbocco importante. E in Cina, che già registrava una crescita inferiore rispetto agli anni precedenti, l’Italia esporta beni che hannno un mercato se c’è un benessere economico. Se la Cina entra in recessione, gli Stati Uniti si bloccano, l’Europa si ferma, è chiaro che poi non c’è più ricchezza e l’intero ingranaggio si blocca”.
Ci aspettiamo recessione in Italia?
“Ci aspettiamo un rialzo dei prezzi, chiaramente, e quindi un fenomeno inflattivo. Il rialzo dei prezzi diminuisce il potere di acquisto, perché il reddito rimane costante. Se i consumi diminuiscono lo stesso accade al prodotto interno lordo: c’è meno domanda, le imprese producono meno e quindi occupano meno. L’impresa rappresenta in Italia poco meno del % dell’occupazione. Il resto viene dai servizi, la cui domanda, se ne aumenta il costo, diminuirà a sua volta”.
Giorgia Meloni ha annullato tutti i suoi impegni della giornata per dedicarsi alla questione dazi. Il primo passo è quello di una task force con i ministri competenti.
“La situazione è allarmante e certamente degna di attenzione. Ma non è con i dazi e con una guerra commerciale che si risolve il problema del deficit americano. Gli americani, per anni, hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità, ma la soluzione non è questa. Per quanto la si voglia imbrigliare, l’economia trova sempre una soluzione. Finché riuscirà a far contenti gli americani tendendo prezzi bassi e creando lavoro andrà tutto bene. Ma finirà che Donald Trump, alla lunga, avrà agevolato proprio il suo nemico: la Cina”.
