La commovente storia di “C’è ancora domani”, il film diretto e interpretato da Paola Cortellesi, è diventata un fenomeno mondiale: Lady Gaga, si dice, vorrebbe comprarne i diritti per una versione americana e in Francia critica e pubblico sono impazziti per la pellicola. A incrociare le vicende personali della protagonista Delia c’è la difficile condizione delle donnedel Dopoguerra e il raggiungimento del diritto al voto. Non tutti sanno che a fine gennaio cade un importante anniversario di un evento che ha tracciato la strada in Italia per il suffragio universale esteso al genere femminile.
Le guerre come motore del cambiamento
Gli avvenimenti del secolo breve condussero l’Occidente nell’era della modernità a una velocità inimmaginabile, e la condizione femminile cambiò radicalmente, almeno su carta, in pochi decenni. L’emancipazione delle donne in Italiainiziò a causa delle due guerre che devastarono l’Europa nella prima metà del ‘900.
Con gli uomini in guerra, negozi, fabbriche e campagne avevano bisogno di manodopera. Dopo la conquista degli spazi del lavoro, fino a quel momento considerati appannaggio del genere maschile, le donne iniziarono a farsi sentire anche nelle corporazioni e negli ambienti para-sindacali (i sindacati furono aboliti durante il fascismo).
30 gennaio 1945: le donne possono votare in Italia
Dopo la Seconda Guerra Mondiale erano tante le partigiane attive nella Resistenza e le staffette e le informatrici che lottarono indirettamente contro l’occupazione nazifascista. L’esperienza della Liberazione rappresentò un punto di non ritorno per i loro diritti. Molteplici proposte di legge si alternarono negli anni. Tutte rimasero in sospeso.
Il Consiglio dei Ministri del 30 gennaio 1945 fu il vero primo passo istituzionale per garantire a ogni donna l’accesso al voto. Il secondo Governo presieduto da Ivanoe Bonomi esaminò la possibilità di estendere il diritto anche a tutte le maggiorenni – all’epoca l’età legale in Italia era 21 anni. Rimasero escluse però le prostitute che non lavoravano nelle case chiuse.
Le prime sindache d’Italia votate nel 1946
Il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 del 31 gennaio 1945 sancì ufficialmente la decisione positiva presa dall’esecutivo. Nella nuova norma mancava tuttavia un riferimento all’elettorato passivo, e dunque alla possibilità non solo di votare ma di essere votate.
Il decreto n. 74 del 10 marzo 1946, siglato in occasione delle prime elezioni amministrative dopo la guerra, sancì il diritto delle donne di candidarsi e competere alla carica di sindaco.
In quella tornata vennero elette le prime sindache d’Italia:
- Alda Arisi a Borgosatollo (Brescia);
- Ninetta Bartoli a Borutta (Sassari);
- Elsa Damiani a Spello (Perugia);
- Ottavia Fontana a Veronella (Verona);
- Margherita Sanna a Orune (Nuoro);
- Anna Montiroli a Roccantica (Rieti);
- la futura deputata Ada Natali a Massa Fermana (Fermo);
- Caterina Tufarelli Palumbo Pisani a San Sosti (Cosenza);
- Lydia Toraldo Serra a Tropea (Vibo Valentia);
- Elena Tosetti a Fasano (Modena).
Il referendum de 1946 per la nascita della Repubblica
“C’è ancora domani” di Paola Cortellesi commemora un altro passo fondamentale per il pieno riconoscimento del diritto al voto delle italiane: il referendum per scegliere la forma istituzionale dello Stato, tra monarchia e repubblica.
Il 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 ben 24.946.878 italiani e italiane, corrispondenti all’89,08% degli aventi diritto al voto, si recarono alle urne. Vinse, come sappiamo, la repubblica, anche se solo per 2 milioni di voti.
Nella scena finale del film vediamo Delia, la protagonista, andare a votare per la prima volta mentre lancia uno sguardo al marito violento, circondata dalle altre donne. Un’immagine forte che ben descrive la potenza di quel momento storico, in cui, finalmente, anche al genere femminile è stato concesso il diritto più importante per una democrazia.