Il permafrost è un terreno tipico delle regioni più fredde come l’estremo Nord Europa, la Siberia, l’America settentrionale. Presente per lo più nelle regioni artiche, il suo suolo è permanentemente ghiacciato. La sua estensione e lo spessore variano a seconda delle condizioni climatiche.
È costituito da una parte attiva superficiale, estesa in profondità da pochi centimetri a diversi metri, sensibile ai cambiamenti stagionali che può scongelarsi in estate per ricongelarsi in inverno e da uno strato profondo che non si è più scongelato dal tempo dell’ultima glaciazione.
Inoltre il permafrost è importantissimo per l’ecosistema terrestre e gli scienziati continuano a studiarlo per conoscere meglio l’origine del nostro pianeta. Proprio in questo territorio, infatti, è stata fatta recentemente una nuova scoperta: un verme preistorico rimasto più a lungo di qualsiasi altro in criptobiosi.
Il verme preistorico risvegliato dopo 50mila anni nel permafrost
Un team di ricercatori ha risvegliato in laboratorio un verme nematode di quasi 50mila anni, recuperato nel permafrost della Siberia, in Russia. L’animale è l’esemplare di essere vivente, tra quelli noti alla scienza, che ha resistito più a lungo nello stato di criptobiosi, una sorta di quiescenza nella quale il normale metabolismo si arresta, in attesa di una futura riattivazione.
Gli animali entrano in questa condizione di vita-non vita quando le condizioni ambientali diventano estreme, per esempio proprio a causa del congelamento.
La nuova specie risvegliata di recente è stata chiamata Panagrolaimus kolymaensis e, secondo i calcoli degli studiosi, era in criptobiosi da ben 46.000 anni.
Già si sapeva che organismi come rotiferi, tardigradi, artemie e altri nematodi possono resistere in questo stato per decenni, tuttavia alcuni invertebrati preistorici sembrano avere capacità molto superiori.
Nell’ultimo decennio sono state infatti “risvegliate” diverse specie di nematodi in criptobiosi dai 10.000 ai 40.000 anni circa, il verme dello studio, però, ha superato tutti gli altri esseri finora analizzati.
L’osservazione sul verme in criptobiosi da 46mila anni è stata realizzata da un team di ricerca internazionale guidato da scienziati russi dell’Istituto di problemi fisico-chimici e biologici nella scienza del suolo di Pushchino e dell’Istituto zoologico RAS di San Pietroburgo, in collaborazione con altri istituti.
Tra questi il Max Planck Institute for Molecular Cell Biology and Genetics di Dresda, l’Istituto di Zoologia dell’Università di Colonia e il Wellcome Sanger Institute di Cambridge.
Animali, virus e batteri scongelati: la minacciata dal passato
Un’altra ricerca pubblicata sulla rivista Plos Computational Biology e condotta da Giovanni Strona, del Joint Research Centre della Commissione Europea, ha invece evidenziato i pericoli che possono comportare i risvegli di virus e batteri rimasti in silenzio per migliaia di anni nel permafrost.
Questi organismi sono potenzialmente capaci di diffondere nuove malattie, con conseguenze sulla salute umana come sugli ecosistemi.
Il riscaldamento globale, con lo scioglimento delle regioni Artiche e dei ghiacciai, può portare a un ritorno alla vita di antichi microrganismi aggressivi che potrebbero facilmente sopravvivere ed evolversi. Secondo lo studio, di questi, il 3% potrebbe diventare dominante e solo l’1% potrebbe provocare eventi imprevedibili.
Anche se la percentuale sembra minuscola, in realtà, considerando il numero complessivo di antichi microrganismi regolarmente rilasciati nelle comunità moderne, le possibili epidemie ed eventualmente di pandemia che una percentuale così piccola potrebbe scatenare rappresentano un rischio importante per l’ecosistema terrestre.