Al posto di YouTube c’è RuTube, TikTok è stato sostituito da Ya molodets, Siri dalla voce di Marusya, Instagram da Rossgram Media, Facebook da Vkontakte. Si tratta dei social network Made in Russia che, insieme ad altre strategie, diventano una vera e propria arma di censura utilizzata dal Cremlino per cercare di tenere sotto controllo il problema dell’informazione nel proprio Paese. Sì, perché il web – e ciò che circola al suo interno, proveniente da tutto il mondo – è sempre stato visto come una minaccia.
E, durante la guerra in Ucraina, questi sono stati strumenti usati da entrambe le parti in lotta per combattere. Da Telegram usato come mezzo di resistenza dagli ucraini a Whatsapp visto come una possibile falla nel sistema di protezione russo. Ecco allora che dei social ‘alternativi’, fatti dalla madre patria e sicuri, diventano un modo per evitare che i nemici possano attaccare più facilmente. Si tratta di una battaglia che parte da lontano, ma che Putin vede come prioritaria soprattutto in un momento del genere.
Una censura che parte da lontano
Alla fine del 1989 nascono i primi server e i primi provider in Russia. Nascono le pagine personali, delle specie di blog, i magazine online, i forum e le mail: siamo nel 1997. Comincia una circolazione incontrollata di informazioni provenienti dall’Occidente, gli utenti vogliono sfruttare un’opportunità di libertà mai vista prima e il Governo lascia che questo avvenga per circa un ventennio. Fino al 2011, quando Putin assiste alle manifestazioni contro le sue rielezioni.
Vkontakte – simile al nostro Facebook – diventa uno strumento di coordinamento degli oppositori e a Pavel Durov (creatore anche di Telegram) viene inviata una richiesta ufficiale affinché i gruppi di manifestanti venissero chiusi. Lui risponde con una lettera su Twitter in cui decide di dare priorità alla libertà di espressione. L’Fsb, erede del Kgb, reagisce andando a bussare al ceo di Vk. Così nasce Telegram, un software di messaggistica sicuro e criptato che Durov usa per chiedere aiuto al fratello, che viene reso noto due anni dopo, e la lotta di Putin al web e a tutto quello che rappresenta la libera informazione.
Negli ultimi dieci anni circa, il Governo ha adottato strumenti di censura, di controllo e propaganda. Ha approvato leggi restrittive, creato liste di siti proibiti, intercettato utenti e attaccato i social network. Ai vertici dell’informazione online vengono messi uomini filogovernativi e Durov è costretto a vivere lontano dal suo Paese.
“Lasciatemi raccontare com’è finita la mia carriera in Russia. Nel 2013 l’agenzia di sicurezza russa, l’Fsb, mi ha chiesto di fornirle i dati personali degli utenti ucraini di Vk che protestavano contro un presidente filorusso (si riferisce all’ex capo di Stato Viktor Yanukovich). Mi sono rifiutato di obbedire, perché sarebbe stato un tradimento nei confronti utenti ucraini. Subito dopo sono stato licenziato dalla società che avevo fondato e costretto a lasciare la Russia”: queste sono delle dichiarazioni recenti di Pavel Durov.
Le falle e il controattacco
Tuttavia, controllare un mezzo come internet non si rivela un’impresa semplice. Diverse volte il Cremlino si rende conto di dover controllare delle falle e, così, nasce l’idea dei social Made in Russia. RuTube diventa il clone di madre Russia (controllato e censurato) di YouTube, Ya molodets funziona come TikTok (se non fosse per un piccolo dettaglio: è controllato dal Cremlino). Rossgram è il corrispettivo di Instagram, Marusya, poi, è la versione russa della nostra Siri e che viene installata nei cellulari venduti in Russia, insieme ad altre applicazioni propedeutiche al controllo. Anche Google ha il suo clone Made in Russia, si chiama Yandex e gestisce il motore di ricerca più usato del Paese, offre un browser, servizi mail e mappe.
Prima della guerra in Ucraina i social come Instagram e Facebook (usati rispettivamente dal 59% e dal 37% dei russi e adesso bloccati), piattaforme come YouTube erano gli strumenti di informazione più usati, ora la popolazione russa vivrà con degli strumenti controllati e censurati, perché non ci sono solo proiettili e caduti in battaglia nel XXI secolo: i social hanno cambiato il conflitto.