Donald Trump ha sempre fatto parlare di sé per le sue scelte simboliche e per le sue dichiarazioni provocatorie, ma l’ultima decisione presa all’interno del suo entourage presidenziale ha lasciato molti osservatori interdetti. In un gesto tanto curioso quanto significativo, il presidente ha deciso di rimuovere il ritratto di Thomas Jefferson dal suo ufficio per sostituirlo con quello di un presidente che pochissimi americani ricordano: James K. Polk. La scelta non è casuale né dettata dal gusto estetico. Dietro questa preferenza si cela un messaggio politico preciso, radicato nella visione di potere, autorità e destinazione storica degli Stati Uniti che Trump sembra voler incarnare. Un’affinità profonda con un leader del XIX secolo che, come lui, si vide circondato da critiche ma portò avanti un’agenda dirompente.
Trump sostituisce il ritratto di Jefferson con quello di James Polk
La notizia è emersa durante una visita di alcuni membri repubblicani alla residenza di Trump a Mar-a-Lago, dove si è notato il cambiamento più simbolico di tutti: al posto dell’illustre Jefferson, ora campeggia Polk, il presidente dell’espansione territoriale americana. Non è la prima volta che Trump usa i simboli del passato per comunicare le sue idee di futuro, ma questa scelta ha attirato l’attenzione proprio per l’inaspettata figura evocata.
Polk non è tra i presidenti che normalmente adornano le pareti degli uffici istituzionali americani. È un nome che raramente emerge nei sondaggi di popolarità storica. Eppure, per Trump rappresenta il modello ideale del leader efficace, pragmatico e disposto a sfidare il sistema per raggiungere obiettivi chiari. Secondo fonti vicine al suo staff, Donald Trump considera Polk l’esempio di ciò che un presidente dovrebbe essere: concentrato, deciso, con un’agenda di politica estera che ha portato risultati concreti. In particolare, Trump apprezza di Polk la capacità di espandere il territorio americano senza mezze misure, affrontando conflitti e opposizioni interne con risolutezza.
Nella sua narrazione, Trump si paragona a Polk anche per il modo in cui entrambi si sono presentati come outsider, ignorati o sottovalutati dalle élite ma capaci di “fare la storia” con azioni forti, anche se divisive.
Chi è l’oscuro presidente dell’espansionismo americano
James Knox Polk fu l’undicesimo presidente degli Stati Uniti, in carica dal 1845 al 1849, e il suo nome è legato indissolubilmente al concetto di “Destino Manifesto”, ovvero la convinzione che gli Stati Uniti fossero destinati ad espandersi da costa a costa. Durante il suo unico mandato, riuscì ad annettere un’enorme quantità di territori, tra cui l’Oregon, il Texas, la California e parte dell’Arizona e del New Mexico, portando il Paese a raggiungere la sua estensione continentale attuale.
A differenza di altri presidenti che hanno lasciato un’impronta carismatica e mediatica, Polk è ricordato come un presidente operativo, ma poco celebrato. Non cercava la rielezione e aveva un’agenda precisa da completare in quattro anni, che riuscì a portare a termine con efficienza sorprendente. Fece della politica estera e della guerra – in particolare quella con il Messico – lo strumento principale per realizzare la sua visione di grandezza americana.
Trump sembra vedere in Polk una figura speculare alla sua: entrambi contrari all’interventismo ideologico, favorevoli a una politica estera muscolare ma diretta all’interesse nazionale. Non è un caso che anche Trump abbia più volte accennato a mire espansionistiche su territori come il Canada, il Messico o persino la Groenlandia, rilanciando così un’idea di “grandezza americana” modellata su logiche ottocentesche. In questa rilettura, Polk diventa quasi un “antenato politico”, un antesignano della dottrina trumpiana che rifiuta il globalismo per abbracciare una visione più cinica ma efficace del potere.
La riscoperta di Polk da parte di Trump non è dunque un capriccio nostalgico, ma una chiave per comprendere la sua visione futura dell’America. Un’America che non si perde in compromessi, ma che agisce per rafforzare la propria posizione nel mondo, anche a costo di rompere gli schemi, e gli equilibri.