La storia del Piaggio Sì inizia nel 1978, quando a Pontedera gli inventori della Vespa decisero che era giunta l’ora di svecchiare un po’ la gamma dei derivati dal “Ciao”. Negli anni Settanta, il mercato degli scooter era in continua evoluzione, e i consumatori stavano cercando veicoli più moderni, pratici e performanti. In quel periodo, il Ciao rimaneva uno dei modelli più popolari, tuttavia qualcosa cominciava a cambiare. L’azienda se n’era resa conto, perciò tentò di adeguarsi, con una due ruote affine ai gusti in evoluzione del pubblico di riferimento.
Mentre la concorrenza sfornava proposte degne di nota, i progettisti capirono di dover alzare gli standard, senza adagiarsi sugli allori. L’ottima reputazione guadagnata nei decenni le aveva consentito di ritagliarsi un posto in prima fila nel settore, ma era l’ora di guardare al presente e al futuro. Ormai avevano già dato pieno sfogo al potenziale del Ciao, sottoposto a vari upgrade e aggiornamenti. Tra le declinazioni di maggior peso, spiccava il Boxer, contraddistinto da ammortizzatori anteriori a forcella telescopica e una comoda sospensione posteriore, in grado di assicurare una migliore stabilità e comfort.
A richiesta, gli acquirenti potevano optare per un sedile allungato, in nome del comfort. Con l’avvicinarsi del decennio successivo, ebbero avvio i lavori su un nuovo ciclomotore, capace di accendere le fantasie del pubblico giovanile e rispondere alle esigenze di mobilità urbana. L’idea a tavolino era di creare un qualcosa che andasse al di là della semplice funzionalità, comunque fondamentale. Conferire un aspetto più moderno e aggressivo rispetto alle produzioni precedenti avrebbe permesso di solleticare le fantasie. Tratti dinamici, espressione di un lifestyle attivo e libero, avrebbero restituito carattere, un po’ venuto a mancare a causa dell’inesorabile passare del tempo. Che non risparmia nessuno, nemmeno i grandi successi.
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Metteva d’accordo ragazze e ragazzi
Il progetto si concretizzò con la creazione di un telaio al 100% inedito, mix di estetica e concretezza. La struttura era stata concepita affinché fosse leggera e maneggevole, così da facilitare le manovre in scenari urbani affollati. Il design prendeva in parte le distanze dai precursori, tramite linee audaci, un palese sfoggio di personalità. Grazie al suo blocco motore in bella vista, ai cerchi in lega leggera e alla migliore tenuta di strada, il Sì era un motorino che strizzava l’occhio anche alla clientela di sesso maschile.
Del Piaggio Sì le ragazze apprezzavano moltissimo la facilità di guida e il fatto che, essendo monomarcia, non ci fosse bisogno di usare il cambio per dare a chiunque fosse alle prime armi l’opportunità di affrontare il traffico cittadino in totale serenità. La posizione di guida comoda e l’ergonomia studiata per adattarsi in maniera ottimale a diverse tipologie di corporatura ne elevavano l’appeal. Da qui il notevole riscontro ottenuto tra il gentil sesso, che lo riteneva sicuro e maneggevole, adatto agli spostamenti quotidiani.
I ragazzi, d’altro canto, impazzivano dietro gli innumerevoli kit di elaborazione presenti sul mercato, che potevano trasformare questo leggerissimo scooter in una sorta di “bolide”. Marmitta, carburatore, motore: sul Sì era possibile montare praticamente tutti i kit che già si trovavano in commercio per il Ciao, più qualcuno studiato apposta per il nuovo modello. Tale versatilità di personalizzazione non solo esaltava le performance, ma consentiva ai proprietari anche di esprimere la propria individualità, mediante accorgimenti ad hoc.
Incontrando un Sì, era facilissimo risalire al sesso del proprietario: tutti pezzi rigorosamente originali se era una ragazza, modifiche di ogni genere per i ragazzi. Evitando di scendere a compromessi in termini di comfort, l’esperienza soddisfaceva il desiderio di condivisione, indicato in vista di uscite con amici o di brevi gite in città. La lunghezza e il design della seduta erano pensati allo scopo di assicurare stabilità e solidità, in modo da ottenere una posizione di guida rialzata. La capacità di trasportare più persone faceva sì che il Sì assumesse una funzione sociale. Rifletteva il modo di vivere giovanile degli anni Ottanta e Novanta, dove le scorribande con amici e le avventure in compagnia erano all’ordine del giorno.
La “trinità” della mobilità leggera
I ruggenti anni ’80 stavano lasciando spazio ai ’90, e il Piaggio Sì, insieme al Fifty Malaguti e all’intramontabile Vespa, era uno dei motorini leggeri che muovono i giovani di tutta Italia. Insieme a loro due, il Sì entrò nei cuori della gente, specie di chi reclamava un mezzo di trasporto economico, pratico e versatile. Ciascuno dotato di un carattere distintivo, il terzetto rappresentava una sorta di “trinità” della mobilità leggera lungo la nostra penisola.
La competizione non fece mai sparire il Piaggio Sì, in quanto ebbe il merito di evolversi in continuazione. Anche se il Fifty rispondeva agli utenti in cerca di velocità e dinamismo, il Sì sapeva difendersi bene in virtù del dinamismo, dell’affidabilità e della capacità di trasformarsi a seconda delle necessità.
Negli anni Novanta il motorino non era un mero mezzo di trasporto, ma incarnava il concetto di libertà personale per i giovani. In tanti lo ritenevano il primo mezzo con il quale esplorare le città e le campagne in completa autonomia. In virtù del costo accessibile, sia nuovo sia usato, si inseriva alla perfezione nel contesto. Lo consideravano l’opzione ideale nel caso di coloro che doveva muoversi rapidamente da un luogo all’altro, senza sobbarcarsi le spese e le responsabilità di un’auto.
Oggi, merito soprattutto di Stellantis, esiste un’alternativa di assoluto rispetto, quali le minicar. Convinta dal successo riscosso nelle concessionarie dalla Citroën Ami, il gruppo ha lanciato in seconda battuta la Opel Rocks-e e la Fiat Topolino. In comune, la stessa base meccanica, che permette al gruppo di offrirle a prezzi ragionevoli. Classificate nella categoria dei quadricicli leggeri elettrici sono esponenti moderni, affacciatesi giusto da pochi anni. Come potranno confermare i ragazzi degli anni Ottanta gli scooter erano di fatto l’unica opzione.
Affidabile, semplice e davvero facile da utilizzare, potevi trovare dappertutto il Sì: parcheggiato fuori dai bar, nei cortili delle scuole, e persino nei garage di intere famiglie. Fece presa sui “paninari”, il noto movimento italiano degli anni Ottanta. Conosciuti per lo stile di vita e la predilezione nei confronti dei capi di abbigliamento firmati e accessori di marca, erano avvezzi a usarlo. Seppure non fossero associati a un singolo modello di motorino, il Sì costituiva una scelta coerente con la voglia di apparire e di distinguersi. In produzione già da diversi anni, si poteva facilmente trovare usato e a basso costo, un’ottima base per successive modifiche; la sua linea sarebbe diventata un classico senza tempo.
La seconda serie, inaugurata nel 1987, si differenziava per l’accensione elettronica di serie, la marmitta di sezione tonda e l plastiche verniciate. Cinque anni dopo toccò dare il benvenuto alla terza generazione, dalla sella più bombata e con alcuni particolari plastici. La forte domanda giustificò la realizzazione di edizioni speciali, ad esempio il Montecarlo, dinamico sia dal punto di vista estetico sia tecnico.
Rimasto in produzione ancora per un decennio, il Piaggio Sì fu, infine, sostituito nelle preferenze dei quattordicenni dagli scooter carenati a ruota bassa. Questi esemplari, come il Piaggio Zip o il Typhoon, vantavano ruote più larghe e basse, una carenatura protettiva che conferiva un aspetto più robusto e all’avanguardia, nonché l’assenza dei pedali, ormai ritenuti un retaggio del passato. Rapportato a tali opzioni, il Piaggio Sì cominciava a mostrare dei segni del tempo.
Opera da collezionisti
Nel 2001 abbandonò la catena di montaggio a titolo definitivo, con gli ultimi modelli dotati di miscelatore automatico. La modifica, una delle poche innovazioni, introdotte nella fase finale del ciclo di vita, semplificava ancor più l’impiego del motorino. Smetteva di rendersi necessaria la miscela manuale dell’olio alla benzina.
Il Sì usciva dai concessionari per entrare nel mito. La simpatica “moto a pedali” continua ad appassionare vaste schiere di collezionisti, alla ricerca del sapore perduto dei tempi andati, di un giocattolo per divertirsi con elaborazioni sempre più estreme o, più semplicemente, di un motorino leggero come una piuma e dai consumi ridottissimi. Sulle piattaforme di compravendita degli articoli di seconda mano è facile reperirlo, a prezzi variabili. Da un minimo di 300-500 euro, può arrivare anche a 1.500 euro se conservato in ottime condizioni.