Sciare sulle dune nel deserto, si può? Jean Samuel lo ha fatto! Ha approfittato della già incredibile esperienza vissuta a bordo della sua vecchia Fiat Panda nel deserto, in Marocco, in una gara eccezionale insieme al suo amico Andrea, per provare a sciare sulla sabbia… con i suoi sci da neve.
Sembra assurdo ma è proprio vero, e lo potete vedere nelle immagini del video, che abbiamo sapientemente montato grazie alle foto e alle riprese fatte da Jean Samuel e Andrea proprio nel deserto di Merzouga, durante il loro primissimo ed entusiasmante Panda Raid.
La mitica Fiat Panda anni Ottanta/Novanta è la passione di questi due giovani italiani, che ne hanno comprata una e sistemata ad hoc, con l’aiuto dei meccanici di fiducia, per affrontare il Panda Raid, una meravigliosa esperienza vissuta nel deserto in Marocco, a cui Jean Samuel ha partecipato con Andrea e con la Panda soprannominata “La Duchessa”. Abbiamo raccontato tutte le modifiche meccaniche e tecniche realizzate sull’auto pre-partenza e poi, al loro ritorno, ogni aspetto tecnico e organizzativo del viaggio.
Oggi sveliamo gli ultimissimi segreti che ci eravamo tenuti per noi, tutto ciò che hanno vissuto a bordo della loro Panda del 1993 e le emozioni che hanno provato incontrando la gente del posto, scoprendo qual è la vera essenza della vita e quanto siamo fortunati noi che, rispetto alle popolazioni che hanno avuto modo di conoscere, abbiamo tutto.
I due ragazzi sono partiti alla volta di Almeria, in Spagna, dove il personale della gara ha fatto i controlli di tutte le auto, e si sono imbarcati per raggiungere il Marocco, esattamente Nador. Tappa finale Marrakech. Un’avventura senza eguali.
Quanto costava l’iscrizione al Panda Raid?
L’iscrizione costava 2.550 euro a coppia, esclusi i ricambi, i pranzi e la benzina. Contando tutto il personale che abbiamo visto lavorare all’organizzazione del Panda Raid, la cifra mi sembra onestissima. Si tratta di nemmeno 1.300 euro a testa, con anche la colazione e la cena di ogni giorno.
Per il pranzo, essendo impegnati nella corsa, ci dovevamo tutti arrangiare. Noi abbiamo deciso di portarci da casa delle scatolette, gallette di riso, barrette energetiche, tutte cose senza problemi di scadenza, prodotti che non si deterioravano con il caldo e la polvere.
Cosa puoi raccontarci sulla vita nel deserto?
Durante il percorso trovavamo spesso case su un piano solo, realizzate con muri di terra e pietre molto rudimentali, ma anche solo delle tende fatte di tessuti e tappeti, dentro le quali vivevano intere famiglie, anche con molti figli.
Ci capitava di vedere gente e parlare con queste persone, perché spesso si mettevano lungo il percorso e chiedevano se lasciavamo loro vestiti, cibo o acqua. Per fare un esempio, durante la prima tappa ci siam fermati per fare benzina in mezzo al nulla. In lontananza abbiamo visto arrivare immediatamente dei bambini, che ci hanno chiesto se potevamo dare loro delle cose. Così abbiamo donato ai piccolini dei quaderni e dell’altro materiale che ci siam portati da casa proprio per aiutare le persone nel deserto, e degli oggetti che ci avevano fornito delle persone prima della partenza, per le donazioni.
Che cosa ci dici invece dell’aspetto della beneficenza?
La gara ha permesso di collaborare alla realizzazione e allo sviluppo di una scuola bioclimatica per i bambini e alla promozione del mantenimento delle biodiversità nella foresta. Ogni equipaggio poteva portare del materiale utile per le popolazioni locali.
Una parte dei fondi raccolti dalle iscrizioni del Panda Raid va alle popolazioni locali, c’erano dei centri e delle associazioni a cui si potevano consegnare vestiti e materiale che poi andava consegnato alle famiglie bisognose.
Lungo il percorso che abbiamo seguito ogni giorno non c’era niente, io non so quanta strada facevano a piedi i bambini per raggiungerci, chilometri in mezzo al nulla. È vero che sono abituati a stare all’aria aperta e sanno autogestirsi, ma era davvero stupefacente tutto. Non ci sono tanti pericoli come qua, traffico e macchine non esistono. È stato bello contribuire – nel nostro piccolo – a dare una mano a queste persone.
Cosa mangiavano le famiglie nel deserto?
Non lo so di preciso, ma penso principalmente verdure e legumi, poca carne, cibi poveri insomma e facilmente reperibili. Lì le persone si spostano a piedi o con la bicicletta, i più fortunati hanno il motorino. Considera che per raggiungere il primo centro abitato, dal deserto bisogna spostarsi almeno 20/30 chilometri circa.
Abbiamo potuto toccare con mano cosa vuol dire vivere con poco, e capire che siamo fortunati, ma diamo per scontato delle cose semplicissime – come l’acqua corrente, i vestiti sempre nuovi e il cibo – che loro faticano invece ad avere.
C’erano animali selvatici di cui aver paura nel deserto?
Onestamente non abbiamo visto serpenti o altre bestie pericolose. Gli unici animali selvatici che abbiamo visto sono i dromedari, che passeggiavano da soli in queste distese di sabbia e pietre chilometriche. Vederli da vicino è stato emozionante.
Cosa vi ha più impressionato?
Abbiamo iniziato a impressionarci già dalla prima tappa, guidavamo in posti dove non c’era assolutamente nulla, con zero punti di riferimento. È stato incredibilmente impressionante riuscire a vedere fin dove c’era la curvatura della terra, un po’ come guardare l’orizzonte al mare.
Alla quarta tappa siamo arrivati guidando in una cresta, tra una spettacolare alternanza tra sabbia e rocce, a un certo punto ci si è aperto un panorama immenso su una valle sotto di noi, a qualche centinaia di metro di dislivello: è stato incredibile, la distesa di sabbia e la montagna formavano come un anfiteatro…
Le Dune di Merzouga, altro panorama mozzafiato: queste enormi dune di sabbia che ci siamo ritrovati davanti erano impressionanti. Io ho fatto delle corse con i bambini, siamo caduti, ho rotolato con loro, ho ripreso tutto, è stato pazzesco.
Ho trovato un pendio di una duna abbastanza ripido, ho preso gli scarponi e gli sci e sono andato a piedi fino in cima alla duna, ho fatto una fatica incredibile. La gente cominciava a incuriosirsi perché di certo non si vede tutti i giorni qualcuno che scia sulla sabbia, ero l’unico ed è stato bellissimo. Mi sono anche fatto tirare dal mio socio: mi sono legato all’auto con una corda, tipo sci nautico sulla sabbia
E che dire quindi dell’ultima tappa e della fine di quest’avventura?
L’ultima tappa è stata l’arrivo Marracash, sveglia alle 4:00 per guidare fino al porto di Tangeri. Mentre guidavamo, arrivati quasi al porto, la macchina ha cominciato a strattonare.
Mancavano forse 2 km al porto per fortuna, e dietro di noi c’era quella coppia di ragazzi che avevamo conosciuto e con cui abbiamo fatto amicizia. La Panda si è fermata e loro ci hanno prontamente superati, ci hanno agganciato e ci hanno trainati.
Arrivati al porto abbiamo capito che il motore era fuori fase, abbiamo chiesto a un altro equipaggio di meccanici se potevano darci una mano e abbiamo tappato il danno momentaneamente. Non ci fidavamo a tornare a casa e quindi, parlando con il nostro amico meccanico, ha deciso di venirci a prendere lui una volta arrivati a Genova. E così, salpati in terra italiana, abbiamo caricato la Panda sul carrello e siamo tornati a casa.
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