Mini frena sull’elettrico, niente più addio ai motori termici entro il 2030

Mini frena sulla svolta elettrica e rivede i suoi piani: negli Stati Uniti resta il motore termico e la Aceman non arriverà a causa dei dazi troppo alti

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Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Pubblicato: 22 Aprile 2025 07:30

Se hai come la sensazione di aver già sentito questa storia, probabilmente è così. Una Casa automobilistica annuncia con grancassa che il futuro sarà 100% elettrico, fissa una data – il 2030 va forte – e poi, col passare degli anni, torna silenziosamente sui suoi passi. Stavolta tocca a Mini, ma il copione è lo stesso di tanti altri.

Nel 2021 avevano fatto il grande annuncio: “Entro fine decennio tutte le nostre auto saranno elettriche!”. Oggi, quella promessa si riduce di intensità. Lo ha spiegato Michael Peyton, vicepresidente del costruttore per il mercato americano, in un’intervista ad Automotive News. La sostanza? I piani per passare al full electric sono stati rallentati. E per una ragione molto semplice: la gente, soprattutto negli Usa, vuole ancora il caro vecchio motore a benzina. “Continuiamo a muoverci verso l’elettrico – ha spiegato – ma il termico resta troppo importante per rinunciarci adesso”.

Alla ricerca di una nuova identità

Insomma, niente addio al termico. Anzi: Mini continuerà a investire anche sulle unità tradizionali. Un esempio concreto è Aceman: il piccolo crossover, pensato per essere uno dei modelli simbolo della nuova era a zero emissioni, non sbarcherà negli States. Un mix di ostacoli commerciali e logistica incasinata ha spinto i dirigenti verso tale direzione.

La Aceman, infatti, viene fabbricata in Cina. E negli Usa, visti i dazi salatissimi sulle importazioni cinesi (parliamo di un +145% sul prezzo), appare invendibile. Non conviene nemmeno pensare di produrla altrove: lo stabilimento BMW in Carolina del Sud non può essere adattato, mancano i fornitori locali e la filiera non reggerebbe. Ora, niente Aceman per gli americani.

Detto ciò, Mini non ha intenzione di restare con le mani in mano. Anzi, Peyton ha lasciato intendere che il marchio sta ripensando la sua offerta. Da un lato si valuta un ritorno a una vera compatta, essenziale, ispirata alla Rocketman del 2011 – una concept car rimasta nel cassetto per troppo tempo. Dall’altro, si pensa a un modello di taglia “XL”, più grande della già imponente Countryman, in modo da rispondere al gusto americano per i SUV extralarge.

Due strade opposte, eppure complementari. Come a dire: il brand vuole piacere sia a chi cerca la citycar agile che a chi vuole spazio da vendere. E motori per tutti i gusti: benzina, ibrido, elettrico. Nessuno viene lasciato indietro.

Il piano (più cauto) del Gruppo BMW

Dietro Mini, ovviamente, tira le fila BMW, che finora ha adottato un approccio molto meno rigido rispetto ad altri. Nessuna promessa estrema, nessuna data scolpita nella pietra. Il gruppo bavarese ha sempre detto una cosa semplice: l’elettrico crescerà, ma senza obbligare nessuno.

Secondo le stime, entro il 2030 più della metà delle vendite saranno elettriche o ibride. Solo se ci saranno le condizioni giuste. Ovvero: colonnine diffuse, batterie affidabili, costi accessibili. Fino ad allora, si naviga a vista. E i numeri, per ora, vanno in quella direzione. A passo d’uomo. Nel 2024, solo il 17,4% delle auto vendute da BMW erano elettriche. Nel primo trimestre del 2025 si è arrivati al 18,7%, un bel +32% rispetto all’anno scorso, ma siamo ancora lontani dal 50%.