Alfa Romeo Giulietta, i 70 anni della berlina che fece innamorare l’Italia

Settant’anni fa nasceva la Giulietta Berlina, l’Alfa Romeo che portò sportività, stile e innovazione nella vita quotidiana degli italiani del dopoguerra

Foto di Manuel Magarini

Manuel Magarini

Giornalista automotive

Classe 90, ha una laurea in Economia Aziendale, ma un unico amore: la scrittura. Da oltre dieci anni si occupa di motori, in ogni loro sfaccettatura.

Pubblicato: 21 Aprile 2025 11:30

20 aprile 1955, Salone dell’Auto di Torino. Sotto i riflettori, Alfa Romeo presenta la Giulietta Berlina. Nessuno lo sa ancora, ma quell’auto cambierà il corso degli eventi. Ha un nome che suona dolce, quasi intimo, e un’anima intrisa di grinta e bellezza. Segno dei tempi, sogno su quattro ruote che, anche a settant’anni di distanza, fa ancora emozionare chi ama i motori.

Manifesto di un Paese

La Giulietta fu un simbolo vero, il manifesto di un’Italia che voleva correre verso il futuro. Uscita in pieno “boom economico”, rappresentava l’oggetto del desiderio di una classe media in ascesa. Aveva il fascino delle Alfa da corsa, ma potevi trovarla parcheggiata sotto casa, pronta a farti sentire un po’ più veloce, un po’ più elegante, un po’ più… vivo.

Prima della Giulietta, Alfa era sinonimo di officine d’élite. Poi, arrivò lei. E fu svolta. Il Portello si organizzò, si industrializzò, divenne una macchina operante su larga scala. Le catene di montaggio aumentavano i regimi, le vetture uscivano a ritmo continuo. Era l’inizio di una nuova era per Alfa Romeo, e per lo Stivale intero.

A voler essere precisi, la Berlina arrivò un anno dopo la Sprint, la versione coupé. Una strategia inusuale per l’epoca, ma vincente: la Sprint era bellissima, firmata da Bertone, e conquistò subito il pubblico. Talmente tanto che Alfa volle accelerare lo sviluppo della berlina, inizialmente prevista con calma. Ed è proprio con questa Giulietta “per famiglie” che nacque un concetto inedito: la compatta sportiva, accessibile e tecnologicamente avanzata.

Sotto il cofano batteva un motore bialbero in alluminio da 1.290 cm³, capace di toccare i 140 all’ora. Numeri che oggi fanno sorridere, ma nel 1955 erano un traguardo mirabile. Soprattutto se pensiamo che era una berlina, anziché un bolide da pista. Eppure, come diceva uno slogan del tempo, “la guida anche la mamma”. Bastava salire a bordo per capire che qualcosa stava cambiando: la qualità costruttiva, il piacere di guida, la cura dei dettagli… tutto sapeva di Alfa, senza, però, l’arroganza del lusso inarrivabile.

Oltre i confini

Alla Giulietta va riconosciuto anche il merito di aver superato i confini. È entrata nel cinema, nella pubblicità, persino nel cuore dei poeti. Il suo nome – secondo una delle versioni più romantiche – sarebbe nato da una battuta: “Siete otto Romeo, e neanche una Giulietta?”. Detto, fatto. E da lì una famiglia intera: Berlina, Sprint, Spider, Speciale, SZ… e persino una station wagon chiamata Promiscua.

Nel 1960, l’esemplare numero 100.001 fu celebrato da Giulietta Masina, musa di Fellini. Una scena simbolica, quasi cinematografica, che suggellava il legame tra questa macchina e l’anima dell’Italia dell’epoca. In totale, tra il 1954 e il 1965, furono prodotte quasi 180.000 Giulietta, di cui oltre 130.000 in veste Berlina. Numeri importanti, ma ciò che resta è lo stile. Quella linea sobria e, al contempo, riconoscibile, quel muso ispirato alla Sprint, quel “family feeling” ante litteram che ancora oggi fa scuola, nonostante l’ultimo capitolo risalga al 2020 e sia già stato escluso un suo ritorno.

La Giulietta è stata molto più di una macchina. È stata un ponte tra l’Italia che faticava a ripartire e quella che cominciava a sognare in grande. Una compagna di viaggio per uomini d’affari, mamme eleganti, giovani in cerca di libertà. Una storia che, settant’anni dopo, non ha perso un grammo del suo fascino.